Discorso di apertura del Padre Generale
22 settembre 2000
FEDELTÀ CREATIVA NELLA MISSIONE
Desidero anzitutto darvi il benvenuto a Loyola per questo incontro voluto e
prescritto dalla Congregazione Generale 34. Si spera che non subisca la stessa
sorte della Congregazione dei Provinciali - istituita dalla Congregazione
Generale 31 - che, dopo una prima riunione, pure qui a Loyola nel settembre
1990, fu soppressa con il decreto 23 dell'ultima Congregazione Generale (CG 34,
n. 485). Ma, quasi come premio di consolazione, lo stesso decreto che sopprime
la Congregazione dei Provinciali, prescrive: "Ogni sei anni circa, a
partire dall'ultima Congregazione Generale, il Padre Generale convocherà tutti
i Provinciali per esaminare la situazione, i problemi e le iniziative
dell'intera Compagnia, come pure la cooperazione internazionale e
sovraprovinciale" (CG 34, n. 486).
La convocazione a questo incontro è stata fatta nel tempo previsto dal decreto
23. L'espressione "tutti i Provinciali" è stata interpretata secondo
la pratica adottata per la partecipazione alle Congregazioni Generali, cioè
tutti i Superiori maggiori e i Moderatori delle Conferenze dei Provinciali.
Partecipano inoltre i Consiglieri generali, ma non gli Ufficiali della Curia
generalizia né i Segretari settoriali, ad eccezione del Segretario della
Compagnia, il cui aiuto è indispensabile.
Questo incontro non ha dunque né tradizione, né "formula", né i
poteri legislativi di una Congregazione; ma è l'occasione unica, per tutti
quelli che portano il peso della responsabilità nella Compagnia, di conoscersi
personalmente, di stabilire rapporti di aiuto reciproco e di collaborazione
apostolica, di condividere esperienze e iniziative, e soprattutto di rafforzare
i legami interprovinciali e di rilanciare lo sforzo in vista di una maggiore
efficacia apostolica a livello sovraprovinciale.
A questo incontro si applica quello che il decreto 21 dell'ultima Congregazione
Generale raccomanda al Padre Generale nei suoi contatti con i Provinciali e i
Moderatori: "Discernerà i maggiori bisogni della Chiesa universale e
stabilirà le priorità mondiali e regionali. Tali priorità dovranno essere
prese in considerazione dalle Conferenze e dalle Province quando queste
stabiliranno a loro volta le rispettive priorità" (CG 34, n. 461).
Per facilitare questo incontro ed evitare di trovarci nel vuoto, è stato
costituito un coetus praevius, che, in collaborazione con la Curia generalizia,
ha preparato un programma e ha messo a disposizione dei partecipanti alcuni
documenti relativi agli argomenti da discutere. Il programma prevede spazi per
incontri personali o tra Assistenze, così da giungere alla formulazione di
raccomandazioni che il governo centrale potrà fare proprie. D'altra parte,
trattandosi soltanto di un incontro, il modo di procedere può essere messo in
discussione e modificato, senza le riserve e le condizioni previe che si
impongono alle diverse Congregazioni.
Fedeltà creativa
Non è un caso che questo incontro si tenga a Loyola. È sembrato opportuno
scartare la Città Eterna, che, invasa dai pellegrini dell'anno giubilare, non
era il luogo più adatto per offrire un'ospitalità fruttuosa al nostro
incontro. Ma la scelta di Loyola ha un senso positivo per la Compagnia:
significa che questo incontro, insieme con un ritorno alle sorgenti, è alla
ricerca di una nuova partenza, di una fedeltà creativa all'esperienza di
Ignazio.
Non è molto importante usare o no la parola di moda "rifondazione".
Essa significa soltanto che la vita consacrata non è chiamata a ripetere o a
rifare quello che il fondatore ha fatto, ma a realizzare quello che egli farebbe
oggi, nella fedeltà allo Spirito, per rispondere alle esigenze apostoliche del
nostro tempo. Senza dubbio, è più che un'espressione di moda: è la
confessione di un malessere, perché qualche cosa non va, si percepisce una
sfasatura tra il desiderio di seguire Cristo e il modo in cui è realmente
vissuto il patrimonio spirituale del fondatore. Abbiamo l'impressione che il
processo di rinnovamento e di adattamento alla cultura moderna sia insufficiente
e che occorra una maggiore radicalità, sia nella fedeltà del ritorno alle
sorgenti, sia nell'attenzione alle sfide del momento presente e all'esigenza
apostolica di vivere, qui e ora, l'esperienza di Ignazio, nostro fondatore.
Se vogliamo tradurre nel linguaggio ignaziano la passione per Dio e per il suo
regno che ci spinge a "ritrovare con coraggio l'audacia, la creatività e
la santità dei fondatori e delle fondatrici, come risposta ai segni dei tempi
che appaiono nel mondo attuale" (VC 37), è meglio lasciare da parte la
parola "rifondazione", dato il carattere dinamico della spiritualità
ignaziana. L'esperienza di Ignazio non è per noi quella di un fondatore che
costruisce il suo edificio su basi stabili e permanenti, ma quella di un
animatore, di un ispiratore che ci mette in cammino, su una delle vie possibili
verso Dio. Se rifondare vuol dire "dare o ridare fondamento" alla vita
consacrata, dobbiamo riconoscere che per Ignazio il fondamento non era una
regola o una dottrina, un organigramma o un'organizzazione, ma una sorgente di
acqua viva che nel discernimento spirituale sgorga continuamente, si rinfresca e
si rinnova, per un maggior servizio di Dio e del suo regno d'amore.
Anche quando codifica la sua esperienza nelle Costituzioni, Ignazio non può
evitare di usare verbi di movimento: "Stimiamo necessario scrivere
Costituzioni, che aiutino ad avanzare meglio, conforme al nostro Istituto, nella
via intrapresa del servizio di Dio" (Cost. 134). La nostra fedeltà si
inscrive nell'esperienza creativa di Ignazio, che è "una via per arrivare
a Dio" (Form. 1), nella quale Ignazio vuole vederci "correre"
(Cost. 582); e la nostra creatività si fonda sul nostro "modo di
procedere" (Cost. 547), che ci invita a osservare "ciò che può
riuscire più utile per il conseguimento del fine inteso dalla Compagnia"
(Cost. 803), "perché in tutto sia servito meglio Dio nostro Signore e la
Sede Apostolica" (Cost. 612).
Perciò, se ci interroghiamo su tale fedeltà creativa (o rifondazione), si
impone una prima domanda: l'animazione della Provincia o della Regione che il
Signore della vigna mi ha affidato è condizionata dalla conservazione delle
opere, dalle preferenze dei Nostri, dall'immobilismo dell'ambiente, dal
crescente scoraggiamento? Oppure l'animazione è "mossa dal desiderio di
servire" la Divina Maestà (Cost. 540) e di "andare avanti nel
servizio di Dio" (Cost. 281; 424; 565)? Cerchiamo di fare qualche cosa di
nuovo, con gli uomini che il Signore ci ha affidato, o siamo buoni
amministratori, ma senza "mozione spirituale" (ES 6), poco sensibili a
ciò che sta nascendo nella Chiesa e nel mondo, e che esige da parte nostra
un'iniziativa, un'azione creativa? Si può dire, esagerando un po' la
preoccupazione espressa da sant'Ignazio, che bisogna diffidare di una Provincia
della quale il Provinciale dice che va bene perché è tranquilla o serena: è
meglio che la Provincia sia inquieta e che vi sorga qualche cosa di nuovo per la
maggior gloria di Dio.
Sant'Ignazio non conosce il termine "fedeltà creativa", ma la
tensione apostolica che esso esprime definisce l'identità del corpo apostolico
della Compagnia, dalle sue origini fino ai nostri giorni.
Fedeltà alla Compagnia
Fedeltà, anzitutto, al dono dello Spirito alla Chiesa nel mondo, che è la
Compagnia di Gesù. Ignazio ne era ben cosciente quando scriveva: "La
Compagnia, che non è stata istituita con mezzi umani, non può conservarsi e
svilupparsi con essi" (Cost. 812). A noi Superiori maggiori è affidata la
Compagnia in modo chiaro e definito, ma noi non ne disponiamo a nostro arbitrio
o secondo le nostre ispirazioni, anche le più brillanti. L'obbedienza che
possiamo e dobbiamo esigere è condizionata dalla fedeltà di noi responsabili
al dono dello Spirito che è la Compagnia, "per la fiducia che essa ripone
nel Signor nostro al quale serve" (Cost. 555), desiderando solamente che
"la sua divina e somma Maestà si serva di questa minima Compagnia"
(Cost. 190).
Esistono molte altre vie per arrivare a Dio e altre spiritualità antiche e
nuove nella Chiesa. Il Signore però ci ha chiamati a "essere ricevuti nel
corpo della Compagnia" (Cost. 59). Questo significa ben più che essere
ammesso come membro di un'associazione, e non lascia posto ad alcun tipo di
doppia appartenenza. La fedeltà al corpo apostolico della Compagnia ci spinge a
esplorare e a valorizzare fedelmente il dono dello Spirito. Scrutando
l'esperienza di Ignazio e dei suoi primi compagni, discerneremo come far
fruttificare oggi il nostro ricco patrimonio spirituale, continuamente
alimentato dagli Esercizi spirituali, la nostra lunga tradizione apostolica in
tanti campi di attività, e il nostro specifico modo di procedere, che ha
suscitato e mantenuto il dinamismo della nostra vita religiosa apostolica. Tutto
questo senza chiuderci orgogliosamente in un ostinato
"restaurazionismo": si tratta di far fruttificare il dono che lo
Spirito ci ha affidato per metterlo al servizio della Chiesa nel mondo con
"tutte le buone opere che Dio nostro Signore si degnerà di operare
mediante tutta la Compagnia, per il suo maggior servizio e lode" (Cost.
114).
Pur credendo profondamente al dialogo e alla collaborazione con altri, e pur
rendendo grazie per il dono di vivere in una società ricca di parecchie
diversità, dobbiamo arrenderci all'evidenza: non avremo niente da offrire a
questa società e a questo dialogo, se non saremo imbevuti della fedeltà al
carisma ignaziano; non per ripeterlo meccanicamente, ma per ricrearlo, qui e
ora, al servizio della Chiesa e del mondo. Perciò dobbiamo insistere perché le
caratteristiche del carisma ignaziano segnino tutta la formazione, iniziale e
permanente, e vigilare perché il nostro modo di pregare e di agire, di
discernere e di governare rifletta questo dono che lo Spirito ci affida per la
sua Chiesa nel mondo di oggi.
Fedeltà alla missione
La fedeltà alla sorgente della vita della Compagnia, che è Dio (cfr Cost.
134), ci induce a domandarci: perché il Signore ha voluto suscitare la
Compagnia e qual è la nostra ragion d'essere, a cui dobbiamo mantenerci fedeli?
o, più semplicemente, che cosa vuol dire essere gesuita? La Congregazione
Generale 32 ha sentito il bisogno di porsi questa domanda e ha risposto:
"Vuol dire riconoscersi peccatore, ma chiamato da Dio a essere compagno di
Gesù Cristo, come lo fu Ignazio: Ignazio che, mentre domandava alla Vergine di
"metterlo con il suo Figlio", vide Dio Padre chiedere a Gesù, carico
della croce, di prendersi questo "pellegrino" in sua compagnia"
(CG 32, n. 11).
Questo riferimento, così felice e ispirato, all'esperienza della Storta indica
chiaramente quello che siamo chiamati a diventare. Tuttavia la Congregazione
Generale, non contenta di questo, ha scelto di impegnarsi nella lotta per la
fede e la giustizia, facendo di tale opzione il punto essenziale che
caratterizza oggi quello che sono e fanno i gesuiti. La Congregazione ha poi
ritrovato una parola cara a sant'Ignazio, alla quale la sua esperienza
apostolica ha dato un senso nuovo: la missione. "Il gesuita è
essenzialmente un uomo in missione: una missione che egli riceve immediatamente
dal Sommo Pontefice e dai suoi superiori religiosi, ma in ultima istanza da
Cristo stesso, l'inviato del Padre. È proprio perché inviato che il gesuita
diventa compagno di Gesù" (CG 32, n. 24).
Quando Ignazio usa la parola "missione", le dà il suo significato
preciso. Oggi si mette l'accento quasi esclusivamente su quelli a cui si è
inviati; invece per Ignazio il primo in assoluto è colui che invia. Al tempo di
Ignazio, la parola "missione" non si usava per indicare la
propagazione della fede, la predicazione evangelica, l'annuncio della buona
notizia. Quando Ignazio si presenta a Paolo III nel 1540, esprime il suo
desiderio di essere inviato, la sua disponibilità a seguire dovunque il
Signore, inviato ad annunciare il regno di Dio, ancora allora, nelle
"sinagoghe, città e paesi" (ES 91).
L'ultima Congregazione Generale ha ripreso la parola "missione" in
modo deciso, mettendo in rilievo le tre dimensioni di tale missione - la nostra
missione e la cultura, la nostra missione e la giustizia, la nostra missione e
il dialogo interreligioso - e sottolineando quello che siamo: servitori della
missione di Cristo. Nel decreto 26 la Congregazione Generale riassume le
caratteristiche del nostro modo di procedere e ricorda che "il nostro
ideale è quello di essere dediti senza condizioni alla missione, liberi da ogni
interesse mondano, liberi di servire tutta l'umanità" e che "fa anche
parte della nostra missione il trasmettere agli altri lo stesso spirito
missionario" (CG 34, n. 558).
Bisogna riconoscere che la fedeltà al servizio della missione di Cristo, come
corpo missionario, ci pone in una situazione delicata, dinanzi a esigenze
difficili. Anzitutto, quando ciascuno di noi elabora un progetto apostolico di
provincia o quando pianifica il futuro delle opere, riflette naturalmente su
ciò che bisogna fare tenendo conto, in un modo o nell'altro, delle possibilità
che si presentano e dei limiti delle risorse disponibili. Ma la fedeltà al
carisma ignaziano ci spinge a fare scelte apostoliche in funzione del servizio
da rendere, "del maggior servizio" (Cost. 623), per "aiutare le
anime a raggiungere il loro fine ultimo soprannaturale" (Cost, 813),
"per cui sono state create" (Cost. 307), "tenendo sempre davanti
agli occhi il fine nostro del maggior bene universale" (Cost. 466).
Inoltre, quando vogliamo imparare da Ignazio il modo di concretizzare il bene
universale, o come scegliere i mezzi concreti per servire la missione di Cristo,
constatiamo che le Costituzioni lasciano costantemente l'orizzonte aperto e che
tale apertura sfocia in una prospettiva indefinita. Ignazio non si chiude mai in
una sola opera determinata e non si fissa in un solo luogo preciso. Certamente
lascia intendere le sue preferenze per questa o quella forma concreta di
servizio e indica anche una sorta di gerarchia, in cui si dà la priorità al
servizio diretto della Parola di Dio per aiutare la gente a incontrare
personalmente il Signore, Creatore e Salvatore; ma, nonostante tale priorità,
non determina in precedenza le modalità del servizio della missione di Cristo,
che rimane un servizio aperto in tutte le direzioni. La fedeltà al carisma
ignaziano infatti ci spinge a inventare costantemente, a spostarci in
continuazione, perché c'è sempre un servizio maggiore da prestare.
Sarebbe utile poter disporre di un elenco esauriente di forme concrete di
servizio della missione di Cristo, una sorta di enumerazione esaustiva come a
volte tentano di fare i progetti apostolici di provincia; ma la via che ci
indica Ignazio è quella della scelta dei ministeri, che risulta insieme dalla
passione per la missione di Cristo da realizzare oggi, e dall'indifferenza che
ci rende liberi nei confronti di ogni forma concreta di servizio, proprio per
poter scegliere quella che, nella situazione della Chiesa e del mondo, qui e
ora, è il maggior servizio. Se un progetto apostolico non è frutto di tale
tensione, non potrà guidare il Superiore maggiore nelle sue decisioni. Perché
un progetto apostolico porti frutto, c'è bisogno non tanto di un gran numero di
gesuiti, quanto di uomini di qualità umana e spirituale. Troppe volte i
progetti apostolici mancano della vera "indifferenza" necessaria,
cercano di accontentare quasi tutti conservando quello che non si osa
sacrificare in vista di un bene maggiore, dimenticano che bisogna creare uno
spazio di libertà di scelta per le generazioni che avanzano, perché queste
possano costruire i servizi apostolici che si intuisce saranno significativi per
il futuro. Per questi motivi alcuni procuratori, nella Congregazione del
settembre 1999, hanno avuto l'impressione che i Superiori maggiori non sappiano
dove vanno e cerchino rifugio nella gestione degli affari correnti,
approfittando delle opportunità che si presentano e rinunciando a quelle che
scompaiono.
Tale impressione di alcuni procuratori, tale giudizio espresso, in realtà non
tiene conto del fatto che in una missione soltanto colui che invia conosce e
indica la strada di chi è inviato. La fedeltà consiste nel metterci al passo
di Dio, giorno dopo giorno, con una sufficiente visione, frutto del
discernimento, per andare avanti, e molta disponibilità per cambiare strada
quando il soffio dello Spirito ci conduce dove vuole e come vuole. In ogni caso,
i gesuiti che il Signore ci ha affidato hanno diritto a essere inviati in
missione. Il rendiconto di coscienza annuale al Superiore maggiore continua a
essere il momento privilegiato per integrare la missione personale - che non si
identifica esclusivamente con il lavoro - con il progetto apostolico della
Provincia. Tutto dipende infine dallo spirito missionario, nel senso ignaziano
del termine, che anima l'insieme della Provincia e ciascuno dei suoi membri.
Perciò, come responsabili autorizzati, dovremmo domandarci che cosa c'è da
fare perché la Compagnia chiarifichi e approfondisca, definisca e concretizzi
la sua fedeltà all'esperienza di Ignazio alla Storta, che noi dobbiamo vivere,
qui e ora, nel servizio della missione di Cristo.
Creatività per il "magis"
Forse Ignazio si sarebbe stupito dell'espressione "fedeltà creativa".
Nella sua spiritualità del "magis" la creatività era inscritta nel
cuore stesso della fedeltà nel seguire il Signore sempre in cammino. Le
Costituzioni - redatte come il percorso dell'incorporazione progressiva nel
corpo apostolico della Compagnia - attestano la sensibilità di Ignazio alle
nuove sfide, alle nuove esigenze, alle nuove richieste che incontriamo nelle
mutevoli circostanze nazionali e internazionali e nelle situazioni ecclesiali e
culturali in movimento.
Seguendo Ignazio, "ciascun figlio della Compagnia agisce e reagisce sempre,
nelle situazioni più impreviste, in un modo coerentemente ignaziano e
gesuitico" (CG 34, n. 562), poiché, nel contesto delle sfide e delle
opportunità ugualmente complesse del mondo attuale, il gesuita discerne i segni
dei tempi che sono di Dio e vi scopre un'esigenza apostolica di creatività.
Forse con una certa esagerazione nei confronti della realtà che viviamo, ma con
una visione giusta della spiritualità ignaziana, l'ultima Congregazione
Generale affermava: "I gesuiti non sono mai contenti dello status quo, del
noto, del provato, di ciò che già esiste: siamo continuamente portati a
scoprire, ridefinire e raggiungere il magis. Per noi frontiere e confini non
sono ostacoli o punti di arrivo, ma nuove sfide da affrontare, nuove occasioni
da cogliere. Veramente è tipica del nostro modo di procedere una santa audacia,
"una certa aggressività apostolica" " (CG 34, n. 561).
Ecco come si presenta, almeno in linea di principio, la fedeltà creativa nel
senso ignaziano. Può darsi che l'uno o l'altro di noi, o forse ciascuno di noi,
abbia difficoltà a riconoscere nella sua Provincia tale spirito missionario
sempre alla ricerca del "magis"; ma vale la pena rilevare alcuni
aspetti di tale tensione creativa, per conoscere meglio lo stato della Compagnia
e discuterne tra noi, e per ritrovare, se è necessario, o per approfondire il
senso della nostra missione.
Creatività nelle tensioni
Se vogliamo vivere fedeli al carisma ignaziano, dobbiamo affrontare una serie di
tensioni che Ignazio ha introdotto nella vita consacrata apostolica per renderla
fruttuosa. Contemplazione e azione, disponibilità universale e inculturazione,
necessariamente locale, gratuità nella missione e beni posseduti per
l'apostolato, lo Spirito che ispira e lo Spirito che parla attraverso la Chiesa,
il discernimento in comune e l'obbedienza, la solidarietà con i più poveri e
l'educazione dell'élite di domani, il desiderio di avere molte vocazioni e il
numero inevitabilmente ridotto di quelli che rispondono alle esigenze della
missione propria dei gesuiti. Non sarebbe difficile ampliare questa serie di
tensioni che caratterizzano e inquietano la nostra vita apostolica, vissuta nel
mondo e nel cuore delle masse, secondo lo stile degli apostoli del Signore.
Proprio qui a Loyola è opportuno ricordare con gratitudine che, riconoscendo la
necessità di una radicalità evangelica espressa nella rottura con il mondo,
Ignazio fu chiamato dallo Spirito a instaurare una vita consacrata che manifesta
la sua radicalità nella solidarietà con quelli che sono nel mondo, nel nome
del Signore che "li amò sino alla fine" (Gv 13,1): "Servire Dio
nostro Signore, aiutando le anime che sono sue" (Cost. 204);
"Abbracciare ogni specie di persone per servirle e aiutarle nel Signore di
tutti" (Cost. 163).
Ignazio sa che questo tipo di presenza nel mondo comporta un rischio. Le
tensioni a cui è soggetta la nostra vita consacrata apostolica si prestano
facilmente a dicotomie, compromessi o ambiguità che sfigurano la nostra
missione e la rendono infruttuosa. Nello spirito di Ignazio, la Compagnia è
inseparabilmente un corpo per Dio e un corpo per quelli che sono nel mondo. È
l'una cosa soltanto perché è l'altra: tutta la sua radicalità apostolica si
esprime nel vigore con cui vive come creative le tensioni che nascono dalla sua
fedeltà a Dio nelle fedeltà a quelli che sono nel mondo. La sua visibilità
non può fondarsi su rotture radicali con il mondo, ma consisterà in una
presenza viva, parlante e operante, esponendosi alle angosce e alle
contestazioni di quelli e quelle che sono nel mondo, solidarizzando con le loro
gioie e tristezze, le loro speranze e miserie, nel nome di un Signore che con un
amore casto, povero e obbediente li ha amati sino alla fine.
Per Lui e per loro sopportiamo tutte queste tensioni, che devono rendere
creativa e fruttuosa la nostra vita in missione, ma che possono anche
paralizzarci o dividerci, se non osiamo fare nostri gli interrogativi posti dal
mondo e i dubbi provati dal popolo di Dio, e affrontarli per discernere i
comportamenti da assumere e le scelte da operare. Dobbiamo considerare se, nelle
nostre Province e a livello interprovinciale, esiste lo spazio per un
discernimento orante e un dialogo aperto, per la condivisione e lo scambio,
così da trovare insieme il nostro cammino, attraverso le tensioni che fanno
parte della nostra missione. Dobbiamo anche considerare in che misura far
conoscere i risvolti delle nostre deliberazioni a quelli che sono nel mondo, per
annunciare loro la buona notizia, "opportune et importune", o per
denunciare l'ingiustizia in solidarietà con loro e per loro.
Nella tensione globalizzazione-localizzazione
In questo incontro di tutti i Superiori maggiori della Compagnia, una tensione
deve interessarci in modo particolare. Giovanni Paolo II, durante la visita alla
Chiesa in Georgia nel 1999, l'ha presentata come la tensione che segnerà il
terzo millennio. È la tensione tra la mondializzazione in crescita e alcune
realtà locali in pericolo. A molti livelli, dall'economia alla religione, il
mondo sta diventando sempre più un "villaggio globale". La
globalizzazione dell'informazione ci consente di conoscere rapidamente quello
che accade nel mondo intero, suscitando in generale una reazione di solidarietà
universale. Sul piano religioso, l'ecumenismo e il dialogo interreligioso
diventano quasi inevitabili: l'unione sempre più grande del genere umano, che
diventa umanamente e divinamente possibile, sarà forse impossibile al livello
della religione? Attraverso l'immigrazione e l'emigrazione, il turismo e il
volontariato, la ricerca del lavoro e della modernità, l'umanità è in
movimento. Ogni immobilismo, ogni "gruppismo" diventa anacronistico.
Al livello politico, i Paesi scoprono di essere sempre più interdipendenti, e
formano unioni e blocchi per fronteggiare insieme le sfide globali. Il Concilio
Vaticano II da parte sua, mosso dallo Spirito, ha riscoperto la Chiesa come una
comunione nello Spirito, che spinge alla sollecitudine per tutte le Chiese e si
apre allo Spirito, il quale opera in tutta l'umanità e riempie l'universo.
Pur accogliendo con gratitudine questo movimento di mondializzazione come
occasione di una crescente fraternità, Giovanni Paolo II non ha tralasciato di
rilevarne gli aspetti negativi. La mondializzazione comporta in sé il rischio
di andare avanti senza rispettare le culture, le nazioni, le lingue e anche le
persone nella loro giusta particolarità. Specialmente al livello economico la
globalizzazione merita un giudizio piuttosto negativo, perché un'economia di
mercato divenuta mondiale non funziona affatto per il bene di tutta l'umanità:
essa tende al proprio sviluppo, rendendo così i ricchi più ricchi e i poveri
ancora più poveri. Così la mondializzazione si presenta al nostro
discernimento con i suoi aspetti innegabilmente positivi e con altri
pericolosamente negativi.
Sant'Ignazio aveva una visione chiaramente situata al livello mondiale: "È
proprio della nostra vocazione andare qua e là e vivere in qualsiasi parte del
mondo" (Cost. 304). Poiché Ignazio aspira alle dimensioni del bene
universale, che è sempre il bene più grande, la missione per lui non può
essere che quella di un corpo apostolico universale, con una disponibilità
apostolica alle dimensioni del mondo intero. Anche avendo la responsabilità
particolare di un luogo concreto e limitato della vigna del Signore, il carisma
ignaziano ci spinge a non chiuderci in questa particolarità e a non isolarci
dal corpo universale della Compagnia. Al contrario, agiremo sempre nella
prospettiva di una missione che, prolungando e sviluppando la missione di
Cristo, sarà sempre aperta a un irradiamento universale, alla gratuità
multiforme del dono che Dio fa di se stesso all'umanità intera, in Cristo e con
Cristo. Soltanto con tale spirito potremo rafforzare le collaborazioni
interprovinciali e la cooperazione sovraprovinciale. Sarebbe penoso che in
questo incontro a Loyola fossimo mossi soltanto dalla necessità, inevitabile e
fatale, di lavorare insieme perché vi siamo costretti dalla mancanza di
personale qualificato o dalla complessità delle istituzioni. Il rafforzamento o
la creazione di strutture interprovinciali e sovraprovinciali devono essere
l'espressione della nostra unione di cuori e di spiriti, della solidità e della
coesione di un solo corpo apostolico universale, al servizio della Chiesa
universale in tutto il mondo.
Tensione da vivere nella collaborazione interprovinciale
C'è una tensione da vivere concretamente. Dobbiamo pensare globalmente, però
la nostra azione dovrà essere in funzione del territorio, delle realtà locali.
Non possiamo scegliere tra il globale e il locale: dobbiamo vivere la tensione
tra il bene universale e quello particolare. Dipende da noi che tale tensione
sia distruttiva oppure fruttuosa per il bene dell'umanità. Sant'Ignazio non ha
esitato a porre la Compagnia davanti a questa tensione apostolica, esigendo, da
una parte, una disponibilità universale e chiedendo, dall'altra, di imparare la
lingua e la cultura del luogo dove il Signore della vigna ha inviato il suo
missionario. Secondo lo spirito di Ignazio, la mondializzazione non deve
condurre all'uniformità, ma all'unione, a una comunione nello Spirito in cui la
ricca e sorprendente diversità delle Chiese locali, delle scuole di Teologia e
delle correnti di spiritualità, delle culture e delle lingue, delle vocazioni
del laicato, del clero e della vita consacrata fonda un evento pentecostale.
Noi siamo consapevoli della tentazione di affidare tale unione a
un'amministrazione centralizzatrice, che si imponga o si sostituisca a una vera
fraternità nella missione. Al contrario, la sensibilità e la preoccupazione
per l'universale, a partire dal particolare di cui siamo responsabili, deve
spingerci a creare e sviluppare istanze interprovinciali e sopraprovinciali:
queste contribuiranno a rafforzare l'unione, la reciproca comunicazione, la
visione comune, la partecipazione a progetti comuni per il compimento di una
missione comune che il Signore ci ha affidato.
Al tempo stesso in cui evitiamo una struttura federalista delle Province, le
Costituzioni, nonostante certe apparenze, ci aprono ampiamente le porte per
allargare le prospettive apostoliche e i modi di funzionamento delle Conferenze
dei Superiori maggiori. Queste, nel nuovo millennio, dovranno affrontare,
insieme ad altre tensioni ignaziane, quella tra la mondializzazione, che
progredendo dovrà rispettare le giuste particolarità, e le realtà locali, che
difendendo i loro diritti dovranno evitare gli individualismi, i fondamentalismi
e altri "ismi" del genere. Qui ci attende una nuova missione.
Manifestazioni di creatività
Poiché l'ultima Congregazione Generale chiede che questo incontro sia convocato
"per esaminare la situazione, i problemi e le iniziative dell'intera
Compagnia" (CG 34, n. 486), vorrei infine segnalare come la fedeltà
creativa si sta realizzando nella Compagnia e nell'insieme della vita consacrata
di cui essa fa parte.
Anzitutto dobbiamo essere riconoscenti per tutto quello che si è fatto da
diversi anni, e che si continua a fare con grande impegno, grazie al ritorno
alle nostre sorgenti, che ci permette di aprirci come gesuiti alle sfide del
futuro. Spetta a noi far conoscere tutto questo all'interno della Compagnia e a
tutti quelli che desiderano ispirarsi a tale "dono dello Spirito" alla
Chiesa.
In secondo luogo, c'è un atteggiamento positivo di fronte ai problemi che
pongono il reclutamento, l'ammissione e la perseveranza delle vocazioni, la
crescente precarietà del lavoro istituzionale, la scarsa qualità del servizio
prestato o atteso, l'aumento dei casi di malattia o di stanchezza, di
invecchiamento o di incidenti. Tale disposizione positiva si manifesta in una
piena integrazione di tutti quelli che si offrono alla missione della Compagnia,
secondo il desiderio dello stesso Ignazio. e anche in una politica più
aggressiva nella promozione delle vocazioni, specialmente con la preghiera,
perché il Signore della vigna invii nuovi operai nella sua missione. Mettendo
in pratica l'invito dello stesso Signore, "Venite e vedete" (Gv 1,39),
si favorisce uno sforzo teso a vivere autenticamente la nostra vita consacrata
con un'apertura generosa a quello che lo Spirito ci dice attraverso le attese
delle nuove generazioni, quelle dei giovani. Tale atteggiamento positivo si
manifesta anche nel desiderio di concentrarci su quello che è l'essenziale
della nostra missione, pur favorendo un'ampia partecipazione alla missione di
Cristo di quelli e di quelle che non appartengono alla Compagnia.
Inoltre dobbiamo tener presenti le tre dimensioni creative che l'ultima
Congregazione Generale ha elaborato come altrettante risposte agli appelli del
Santo Padre, che ci chiede un aiuto specifico per la nuova evangelizzazione: una
missione che integri la vicinanza e il servizio ai poveri; una missione che si
fondi sul dialogo, che non imponga ma proponga la buona notizia, reinventando
continuamente il modo di convivere e condividere con quelli che credono in modo
diverso; una missione che attraverso modalità vive di inculturazione, anche
nella propria patria, rechi oggi il dono di Cristo, il dono dell'amore creatore
e redentore di Cristo, a un mondo che ha sete di lui, anche quando cammina in
senso opposto alla sua buona notizia. Leggendo i rapporti annuali dei Superiori
maggiori, si constata che gli orientamenti assunti sono scelti e mantenuti bene,
ma che c'è ancora molto spazio per la creatività, per un'apertura ancor più
radicale e generosa nel nostro modo di fare verso colui che "è la via che
conduce gli uomini alla vita" (Es. gen. 101).
Un altro segno di creatività è l'accoglienza da parte della Compagnia
dell'invito a vivere in un modo più missionario nelle nostre comunità unite
per la missione. La fedeltà creativa al carisma ignaziano non può essere
compito di un gesuita isolato: suppone un'unione di cuori e di spiriti incarnata
in una vita e nelle attività vissute insieme come compagni di Gesù. Le lettere
ex officio di quest'anno manifestano un reale desiderio, soprattutto da parte
dei giovani ma anche dei meno giovani, di condividere la chiamata del Signore e
la missione che egli continua ad affidarci mediante il suo Spirito. Anche se in
questo incontro ci riferiamo soprattutto alla collaborazione interprovinciale e
sovraprovinciale, è chiaro che vogliamo poter contare su una Compagnia e su
compagni che vivono in comunità di disponibilità e di fraternità, di
solidarietà e di ospitalità, come un unico corpo apostolico. La collaborazione
che desideriamo rimarrà un sogno se non ci sarà uno sforzo paziente per
risolvere il problema di fondo della vita comunitaria, ancora troppo spesso
segnata dal virus dell'individualismo. Tuttavia anche in questo ambito è
iniziato un cammino di creatività, verso la realizzazione di comunità fraterne
e missionarie, secondo il nostro modo di procedere.
Infine, ultimo segno della fedeltà creativa nella Compagnia e nelle altre
famiglie religiose è la scoperta orante del discernimento per ascoltare quello
che lo Spirito ci dice qui e ora. La sorgente della preghiera che accompagna e
guida tale discernimento è sempre di più la Parola di Dio, la Sacra Scrittura.
Per dirlo alla maniera di Ignazio, dobbiamo contemplare continuamente i misteri
della vita di nostro Signore Gesù Cristo per conoscerlo intimamente e per
scoprire il suo modo di compiere la missione ricevuta dal Padre. Non possiamo
costruire il Regno se non nello spirito e con il modo di agire del Signore, il
quale ha un'idea dell'efficacia molto diversa da quella che noi spontaneamente
abbiamo. Lo ha confermato l'ultima Congregazione Generale: "Oggi come ieri,
è questo profondo amore personale per Gesù, la Via, che caratterizza il modo
di procedere del gesuita" (CG 34, n. 539). Ma tale amore si applica anche
al modo in cui l'inviato del Padre ha realizzato la sua missione. La
contemplazione dei misteri della vita di Cristo ci mette con lui, perché
mediante il suo Spirito siamo capaci - in tutti i problemi che si riferiscono
alla missione, e in questi giorni in particolare alla collaborazione
interprovinciale e sovraprovinciale - di fare le scelte che ha fatto Cristo, e
di farle, in questo nuovo millennio, con una fedeltà creativa a Ignazio, che ci
ha insegnato questo.
Ecco la sorgente della fedeltà e della creatività che dobbiamo esplorare e
quasi rivalorizzare, ispirandoci alla conversione di Ignazio, a maggior gloria
di Dio.